Wild Hearts Recensione: EA inaugura una promettente stagione di caccia     

2023-03-08 14:34:58 By : Ms. Sandy ye

Quando si parla di videogiochi sulla caccia di stampo fantasy, il primo nome che balza in mente è quello di Monster Hunter, la celeberrima saga venatoria di Capcom. La sua formula perfezionata in anni di iterazioni gli ha permesso, giustamente, di ritagliarsi un posto speciale nel cuore dei fan, aumentati esponenzialmente con le ultime incarnazioni della serie (qui la recensione di Monster Hunter Rise Sunbreak). Omega Force e Koei Tecmo, sotto la bandiera di EA Originals, hanno quindi dovuto tirar fuori l'artiglieria pesante con Wild Hearts (qui la nostra prova di Wild Hearts), titolo che in un modo o nell'altro è impossibile non accostare al brand di Capcom. Pad alla mano, però, il sapore di questa esperienza è esaltato da piccole e decisive nuove meccaniche, pensate appositamente per i mostri che minacciano il villaggio di Minato: i Kemono.

Nelle terre di Azuma, ispirate al Giappone feudale, si caccia o si viene cacciati. Gli abitanti del villaggio di Minato lo sanno bene, dato che generazioni di individui dediti a questa attività si sono succedute difendendo la gente comune dai giganteschi Kemono. Questi maestosi ma letali mostri sono nati dalla fusione di normali animali selvatici con potenti energie naturali. Troviamo importante ricordare che ad Azuma la caccia e l'uccisione di queste creature ha un peso specifico notevole, un valore quasi religioso. L'impari lotta contro la magia delle bestie è bilanciata solo dalle capacità altrettanto mistiche dei cacciatori più forti del territorio: sfruttando i semi di una pianta ormai perduta, essi sono in grado di evocare in un istante trappole, sistemi di difesa o offesa e intere strutture di supporto. In una parola, i karakuri.

La scelta è ampia: trampolini per schivare la carica di un enorme cinghiale, torri di avvistamento con cui tracciare la posizione di una creatura sfuggente, martelli a molla che abbattono gli avversari volanti. In Wild Hearts infatti il giocatore interpreta un hunter casualmente investito dal potere dei meccanismi magici di Azuma, nonché l'ultimo baluardo posto a salvataggio di Minato. Da quando i Kemono, a seguito di un periodo di pacifica convivenza con gli umani, hanno ricominciato ad aggredire chiunque incroci il loro cammino. Man mano che prenderemo familiarità con i molti personaggi del gioco, sarà impossibile non restare emotivamente coinvolti nelle loro vicende: la difesa del villaggio diventerà ben presto una priorità, carburante per la nostra determinazione battagliera. Anche chi giocherà di ruolo "da duro/a" e selezionerà sempre le opzioni di dialogo più aspre non resterà indifferente. Peccato solo che le varie risposte non abbiano alcun effetto sullo sviluppo della trama (producono solo reazioni lievemente diverse degli NPC).

Non appena messo piede in Wild Hearts ci siamo accorti di possedere già una gradevole familiarità con movimenti, attacchi e schivate. Se provenite da un diverso ecosistema di caccia, quindi, non avrete grossi problemi durante l'insediamento a Minato, a patto che vi abituiate presto a usare i karakuri, che rappresentano una delle prime e notevoli differenze rispetto alla serie di Capcom. I meccanismi magici si sbloccano sia esplorando, che tramite un apposito menù, avanzando nella trama o rimanendo "ispirati" durante lo scontro con un Kemono. Quest'ultima modalità è stata pensata da Omega Force come rievocazione fantasy delle trappole inventate dagli esseri umani per superare il divario di prestanza fisica con il mondo animale. È normale, quindi, che l'idea per combinare più karakuri semplici tra loro venga in mente al nostro cacciatore osservando uno specifica creatura all'opera: ci viene proposto, ad esempio, un muro composto da 6 casse disposte di fronte a noi solo dopo aver assistito alla corsa di un mostro che si lancia testa bassa a folle velocità; oppure, una bomba a tempo "brilla" come la classica lampadina delle buone idee mentre siamo circondati dai fastidiosi minion di un ratto gigante. A specifiche necessità seguono quindi ispirazioni contestuali, che una volta sbloccate potremo replicare a nostro piacimento. Ci sono dozzine di possibili combo da realizzare a partire da elementi singoli come scatole, molle, mini-elicotteri e fiaccole, ciascuno con vari utilizzi e interazioni differenti. Un arpione si può sfruttare sia per raggiungere luoghi elevati, che per balzare in groppa a una creatura e colpire i suoi punti deboli fino a staccare corna, armature o escrescenze che celano drop rari.

Niente di davvero nuovo, eppure Omega Force - sfruttando i karakuri - ha reinterpretato con efficacia alcune delle meccaniche più apprezzate in Monster Hunter. L'effetto collaterale dell'importanza attribuita al sistema di costruzioni potrebbe inficiare l'esperienza di coloro che decidessero strenuamente di rinunciarvi. Per quanto sia possibile avanzare nelle prime fasi - quasi - senza adoperare i karakuri, verrà il momento in cui vi accorgerete che questi vi rendono la vita molto più semplice, oltre ad aggiungere uno strato di piacevole complessità all'impasto ludico.

Nelle open map raggiungibili tramite viaggio istantaneo dall'hub (Minato), la natura lussureggiante ha riconquistato vestigia umane come templi, ponti, strade o interi villaggi. Il quadro risultante propone panorami evocativi, per di più strutturati verticalmente per favorire l'utilizzo dei meccanismi di supporto, al di fuori delle gigantomachie con i Kemono. Omega Force ha previsto un sistema semplice ma efficace per gestire i karakuri durante le esplorazioni, infatti in ogni zona sono distribuite le "fonti del drago": geyser da cui sgorga l'energia che muove gli oggetti magici. Solo potenziandone molti si può aumentare il numero e il tipo di costruzioni posizionabili a terra.

Le fonti ci piacciono non poco, perché rappresentano sia elementi legati alla progressione e al "level up" del personaggio, sia target che guidano l'esplorazione senza limitarla a percorsi prestabiliti. Sono inoltre un ottimo freno all'abuso degli strumenti come le zipline. Per intenderci, sono considerati karakuri anche gli accampamenti che fungono da punti di respawn se un Kemono ci atterra mentre lo combattiamo. Quindi, il graduale miglioramento delle fonti, con conseguente aumento delle zone di ristoro progettate dal giocatore, rispetta l'incremento di difficoltà delle missioni e permette ai cacciatori di muoversi sempre più fluidamente, di raggiungere i nemici più in fretta, e crearsi le proprie scorciatoie personali. Lo stesso cammino da punto A a punto B può essere adattato a piacimento, al punto che la percorribilità delle aree cambia radicalmente da inizio a fine esperienza, o da utente a utente.

Sia cacciando da soli che online, ciò che viene edificato resta utilizzabile se non lo distruggiamo per far spazio ad altro, o finché un mostro non lo abbatte. Quasi ce ne dimenticavamo: è un karakuri, ma non dobbiamo evocarlo e ci affianca sempre quando siamo in missione. Si tratta di un piccolo ma tostissimo ingranaggio semovente, che svolge le stesse funzioni dei Palico di Monster Hunter. Può attirare l'attenzione dei mostri per allontanarli da noi, colpirli con esplosivi o evocare cure quando serve, risvegliandoci anche da torpori ed effetti di stun vari. In ultimo, se è vero che la maggior parte degli hunter si limiterà a ottimizzare gli accampamenti dotandoli dello stretto indispensabile, non mancano attrezzi dalla limitata usabilità pratica, ma dall'elevatissimo potenziale decorativo.

Torce di pietra che segnalano la via che conduce alla tana abituale di un kemono. Panchine per recuperare le energie perse, ruote dentate che pescano prezioso cibo in automatico. Una volta presa la mano con la caccia, ci siamo intrattenuti a lungo con tutti i karakuri d'arredo, dando un tocco genuinamente personale alle mappe. Sempre agendo nei limiti consentiti dalle fonti del drago: la natura è e resta l'unica padrona in Wild Hearts. Possiamo piegarne alcuni aspetti a nostro favore, ma non deviarne il corso o stravolgerne i panorami.

Più sono grossi, più ci metteranno a dura prova, giusto? Non sempre. Ci ha fatto molto piacere trovare moveset variegati, basati sul tipo di animale alla radice dell'idea dei Kemono. Abbiamo trovato efficaci, a modo loro, tutti i mostri che ci hanno messo alla prova di volta in volta, ribadendo quanto i karakuri sono la chiave di tutto. Usando anche solo alcuni di quelli semplici nel modo giusto, certi errori di tempismo o di inesperienza vi saranno perdonati e molte sconfitte risparmiate. Tuttavia, al contempo gli sviluppatori hanno potuto prendersi più libertà ideando i pool di attacchi a disposizione dei Kemono, alzando l'asticella della "punizione" in alcune delle loro sequenze offensive. Insomma, se prenderete poco sul serio la pianificazione della caccia non andrete lontano.

Ci sono debolezze e resistenze elementali con cui fare i conti, status alterati evitabili con minime accortezze: una routine che chi gioca da più tempo a titoli del genere hunting conosce bene. Wild Hearts non vi dirà mai cosa fare e non priva il giocatore del brivido di un sano trial and error. Al massimo, qualche pop up vi suggerirà di visitare certi NPC, o di mangiare per incrementare temporaneamente le statistiche. Ci sono decine di Kemono nel mondo di gioco e perfino delle loro varianti con attributi, attacchi, elementi differenti da fronteggiare. Il bestiario consultabile nel menù diventerà il vostro migliore amico, ricco com'è di artwork, dettagli, punti deboli, espedienti utili sia per capire come abbattere le creature, sia per studiare quali parti tagliare in lotta per ottenere il loot desiderato.

Non si possono catturare mostri in Wild Hearts: l'unico modo che abbiamo per porre fine alle loro rovinose scorribande è ucciderli. Riteniamo, però, che la lore basata sulla storia e gli usi nipponici, riesca a ovviare con grande eleganza. La sacralità della vita e l'importanza della natura non sono mai messe in discussione in Wild Hearts. Quando si caccia per necessità, si risponde proprio alle leggi che governano gli ecosistemi e gli animali tutti da secoli. Essendo umani, però,interviene la sfera animistica: renderete grazie per il sacrificio dei Kemono con balli e rituali, vi scuserete - letteralmente - con loro al momento dell'uccisione. Non per lavarvi le mani dalla responsabilità dell'atto, bensì per riconoscerne il peso. Così, una piccola animazione al termine di ogni sessione, uno "scusami" pronunciato dal personaggio con sincerità e gravitas, sorregge gli intenti di tutto il gioco.

Il sistema di combattimento funziona bene anche senza "edificabili": dopo poche ore vi esibirete quasi in una danza, diversa a seconda dell'arma, composta da combo leggere o pesanti e schivate. La reattività ai comandi è sempre perfetta, per di più differenziata sulla base del peso che stiamo trasportando. Maneggiare un arco leggero o una spadona "alla Gatsu" risulta in possibilità di elusione agli antipodi. Discorso a parte per gli equipaggiabili più particolari, come il bastone karakuri o l'artiglio, che in modo sensato si possono sbloccare solo dopo aver fatto un po' di esperienza.

Passare dal menare fendenti di katana a terra, allo svolazzare intorno al mostro agganciati con una catena per non farci disarcionare, richiede padronanze diverse. Inoltre, bisogna sempre tenere a mente che l'esperienza è stata costruita con in mente i karakuri. Soffermandoci sulle bestie, l'intelligenza artificiale fa il suo dovere e fin dalle prime cacce è opportuno non sottovalutare il raggio di attacco massimo: praticamente ogni Kemono può raggiungerci anche se siamo a grande distanza da lui, che sia balzandoci contro o sparandoci un proiettile. Interessante anche il fatto che le varianti di ciascun animale hanno sempre elementi distintivi oltre al pool condiviso con quello base. Per esempio, il roditore Coda del Verno si muove e colpisce come la sua variante fungina, ma in più controlla con le sue spore un branco di creature di piccola taglia. Anche la forma "rabbiosa" sbloccata dai mostri dopo aver subito abbastanza danni aggiunge movenze uniche. La pericolosità dello stato furioso, però, risiede più che altro in un tempo di stallo ridotto tra un assalto e il successivo, oltre che in un output di danni superiore. Una volta entrati appieno nella mentalità venatoria, la routine è classica: caccia un Kemono, adopera le parti ottenute per forgiare nuove armi e armature più forti, e così via. I design degli indossabili seguono ancora una volta la morigeratezza descritta per i modelli dei mostri. Come da tradizione per il genere non abbiamo sin da subito tutte le armi. Dapprima, delle otto tipologie di strumenti semplici solo cinque erano selezionabili: katana, nodachi, arco, martello e wagasa (un ombrello con lame annesse). Superato un certo scoglio, abbiamo potuto destreggiarci quindi con un cannone, la staffa karakuri e l'artiglio.

Gli strumenti di morte che abbiamo apprezzato più degli altri sono l'arco, il wagasa e il cannone. Il primo ha due modalità di fuoco e può sparare frecce che si infiggono nella carne dei nemici per poi esplodere quando le colpiamo con un secondo tipo di munizioni caricate. Il wagasa è veloce, scenografico e può eseguire parry abbastanza generosi sia a terra che in aria. Il cannone... è un cannone: spara, forte, sempre. Comprensibile, dato l'elevato output di danni, che il cannone di parecchio i movimenti quando imbracciato. Del resto, lo stesso bilanciamento è adoperato con tutte le attrezzature pesanti di Wild Hearts. Inoltre la sua potenza è stata limitata in due modi, col surriscaldamento e il sovraccarico. Il primo è inevitabile, anche se le armi migliori si scalderanno meno in fretta e non andranno quasi mai in blocco, per esempio. Il secondo, è ovviabile fissando appositi gear sul terreno: stando nell'area circolare da loro interessata, il sovraccarico si rigenera e ci permette di sparare a ripetizione.

In definitiva, le armi sono variegate per effetti e modalità d'utilizzo e sono una delle componenti più riuscite dell'esperienza. Sono interessanti, ma sorvolabili, gli accessori che possiamo craftare per personalizzare con fiocchi, catenine e altro, le armature di base. Per tutti voi fashion hunters là fuori, è più importante sapere che potrete scegliere l'aspetto delle armature mantenendo le statistiche dei pezzi che preferite. Però non da subito: solo in Endgame. Nel frattempo, sconfiggendo ogni Kemono si sbloccano presso il fabbro nuovi rami elementali basati sulle creature abbattute. La loro personalizzazione è totale, sia sul fronte estetico, che su quello pratico. Pensate che quasi tutti gli item d'equipaggiamento sono disponibili in tre versioni differenti sia nell'apparenza che nelle statistiche. Ci sono armature forgiate seguendo "la via degli umani", "la via dei Kemono" o configurazioni più bilanciate; il costo di ogni "via" è diverso e le parti di mostro da portare al fabbro per ottenerle pure. La varietà di build, comunque, è garantita e dar loro una forma è esaltante a dir poco, complici anche i talismani che aggiungono modificatori capaci di influenzare in toto il cacciatore.

Raggiunto il finale della trama, non troppo complessa ma impreziosita dall'ottimo doppiaggio e dai carismatici personaggi che la animano, è proprio l'Endgame a rappresentare la sfida più grande di Wild Hearts. Intendiamo non solo per il giocatore, ma proprio per il titolo e i suoi sviluppatori. Sono già previsti update post lancio con nuove varianti di mostri già presenti, modifiche per le armi e per i karakuri in dotazione; ma anche, più in là, veri e propri aggiornamenti portanti con Kemono inediti, porzioni di trama aggiuntive e altro.

Non stupisce questa promessa da parte di Omega Force ed EA: è col supporto continuo che l'esperienza riuscirà ad attirare nuovi cacciatori solitari o team (da massimo 3 membri in totale). Proprio come in Monster Hunter, la libertà di azione sul fronte multigiocatore è un must. Non manca il crossplay tra piattaforme diverse, e ci si può unire a sessioni di caccia già iniziate per in risposta alla richiesta d'aiuto di una squadra (potremo invocare noi stessi il supporto d'altri guerrieri). I primi aggiornamenti a una componente multiplayer che già funziona abbastanza bene dovrebbero, in primis, migliorare la stabilità dell'esperienza. Sul fronte puramente grafico, texture e modelli sono curati sia spaziando nel mondo umano, che in quello dei bellissimi Kemono. Le animazioni che muovono questi ultimi non mancano di sorprendere per la loro naturalezza o coreografia. Eppure, Wild Hearts soddisfa solo in parte chi è alla ricerca di un design più improntato al fantasy. Le bestie sono grossomodo animali resi più forti dall'energia naturale che sgorga dalle fonti del drago e il bestiario alla base del design - composto da corvi, ricci e scoiattoli, per fare alcuni esempi - è sempre evidente. Di certo l'avventura non osa su questo fronte, e presenta qualche squilibrio di natura visiva.

Il colpo d'occhio nel complesso è gradevole ma è il dettaglio dei singoli elementi a mancare. Come quando si nota qualche compenetrazione tra pezzi molto diversi di armatura o un pop-in più o meno marcato a seconda della macchina utilizzata o dei setting attivati. Sono difetti a cui non si fa molto caso nella concitazione della caccia, eppure ci sono. Infine, ci sono stati momenti - pochi - in cui la build in nostro possesso ha tentennato vistosamente sul fronte del frame rate, senza un motivo preciso. Considerato l'hardware di fascia alta del PC su cui stavamo giocando, non sarebbe dovuto accadere. Ad aumentare la piacevolezza dell'esperienza contribuiscono la colonna sonora e il sound design in toto. Le musiche sottolineano con veemenza l'inizio della battaglia e le varie fasi che la compongono. Le composizioni sono, per forza di cose, tutte in stile nipponico, perfettamente in linea con il setting. I versi dei mostri sono diversificati quanto basta e sempre spaventosi e imponenti, ci sovviene un solo appunto uditivo: a volte ci è sembrato che mancasse un po' di "rumore di fondo" ambientale, utile per aumentare l'immersione nell'esplorazione dei biomi.

Wild HeartsVersione Analizzata PC Wild Hearts si inserisce in un panorama di genere dominato da un contendente straordinario. Gli elementi “collaudati” sono molti ed evidenti, ma il gioco trova comunque una sua dimensione grazie all’introduzione e alla gestione dei karakuri. Meccanismo dopo meccanismo gli ingranaggi del gameplay girano sempre più rapidi e oliati, rivelando l’identità, sia ludica che narrativa e artistica di Wild Hearts. Eppure, non sarà sufficiente una partenza a razzo se lo sviluppo non proseguirà con aggiornamenti e DLC. Proprio perché l’esperienza iniziale è capace di mettere alla prova, coinvolgere e intrattenere il giocatore, necessita di essere ulteriormente supportata con novità, bugfix e contenuti di impatto, per far sì che la caccia non si riveli infruttuosa.

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